FOIANO FOTOGRAFIA
Edizione 2014
Foiano Della Chiana (AR)
Dal 08 al 23 novembre 2014
Ci abbiamo provato. Questa volta Foianofotografia era nata davvero all’insegna della leggerezza, del viaggio, della scoperta positiva. Quasi a cancellare la coscienza di ogni giorno, le problematiche del quotidiano, la consapevolezza del momento storico. Volevamo raccontarvi il mondo di oggi, come se fosse un bel posto senza pensieri. Ma alla natura non si comanda, ed è così che una passione, per la fotografia in primis, per il fotogiornalismo e per la narrativa documentaria in ugual misura, ci hanno portato a non poter, non voler trascurare una natura anche un po’ critica, sicuramente propositiva, sul chi eravamo, e dove siamo ora.
Quest’anno il festival guarda, più ancora rispetto alle precedenti edizioni, al passato, al presente al futuro. Si va ancora una volta in giro per il mondo, around, ricordando una guerra vicina di cui si sono perse le tracce con troppa leggerezza. Osservando la situazione dei paesi dell’ormai ex primavera araba con uno sguardo quasi estetico, eppur duro e di denuncia. Andando alla ricerca di piccoli animali che l’asprezza del terreno ha forgiato a sua immagine e somiglianza, piccoli e indomiti combattenti e sopravvissuti. Raccontandovi la storia della fotografia attraverso le scelte di un fotografo davanti ai suoi provini. Seguendo le orme di un nonno. Stringendo amicizia con un senza tetto di una Roma che di accogliente ha sempre meno. Scoprendo il consumismo laddove siamo abituati a vedere solo scene di ordinaria povertà. Andando a spasso attraverso la capitale del cambiamento del dopo cortina di ferro. Scoprendo una situazione ucraina che difficilmente sarà raccontata in televisione, o sui giornali. Salutando un amico che non c’è più, ma che la fotografia la portava nel cuore.
Viene inaugurata infine in questa edizione, per la prima volta, la sezione “Off”. Per dar voce alle nuove leve, a diversi linguaggi, a chi in questo periodo difficile spesso non trova spazio. Non certo per mancanza di capacità, ma per uno spirito conservatore che qui, a Foiano, non è proprio di casa.
Chiara Oggioni Tiepolo
“Pre opening” Sabato e domenica 01-02 novembre
Workshop con Edoardo Agresti.
Sabato 08 novembre
Alle 17.30 presso la Galleria Furio del Furia, inaugurazione.
Domenica 09 novembre
Dalle 10.00 alle 12.30 e dalle 14.30 alle 18.00 presso la Galleria Furio del Furia, letture portfolio del premio Avis.
Saranno presenti alle letture: Maurizio Garofalo (critico fotografico), Loris Savino (fotografo), Pietro Vertamy (direttore dell’agenzia OnOff), Emilio D’Itri e Marco Rapaccini (Officine Fotografiche), Lina Pallotta (Fotografo, curatore e insegnante), Giammaria De Gasperis (RVM Magazine) , Alessandro Gandolfi (Parallelozero) , Ivo Saglietti (fotografo).
La lettura portfolio ha il costo di 10 euro (comprende due letture). L’iscrizione avviene al momento.
Sabato 15 novembre
Alle 21.00 presso la Galleria Furio del Furia, incontro con l’autore, il fotografo Davide Cerati – “La comunicazione ci salverà”
Sabato e domenica 22 e 23 novembre
Workshop con Marco Bulgarelli.
Sabato 22 novembre
Alle 21.00 presso la Galleria Furio del Furia, consegna degli attestati Avis ai partecipanti alla camminata.
A seguire, concerto di violino del maestro Francesco Fidel.
Domenica 23 novembre
Chiusura
Orari delle mostre
Venerdì, sabato e domenica dalle 10.00 alle 12.30 e dalle 16.00 alle 19.00
Mostre in programma
Alessandro Gandolfi – Il paradiso perduto dei Cuaddeddu (Parallelozero)
I cuaddeddu, i cavallini della Giara, sono fra gli ultimi cavalli selvaggi d’Europa. Ne restano poco più che cinquecento, vivono nel cuore della Sardegna su un altopiano dal quale è impossibile fuggire. E rappresentano un mistero irrisolto: come sono arrivati al centro del Mediterraneo? Forse a bordo di navi fenicie quasi tremila anni fa? I cavallini non sono pony ma veri e propri cavalli in miniatura (alti 120 centimetri al garrese), che in passato vivevano in tutta la Sardegna e che piano piano si sono estinti ovunque. Tranne che sulla Giara: un tavolato di origine vulcanica che è una vera e propria “isola nell’isola”, delimitato per il suo intero perimetro da strapiombi e dirupi. La Giara è così diventato un paradiso perduto, l’habitat naturale per questo cavallino irrequieto, ribelle, amante della libertà, utilizzato a volte per insegnare equitazione ai bambini o per i rodei di paese ad agosto. Ma il pascolo sulla Giara scarseggia sempre più e così pure l’acqua dei laghetti: per quanto tempo ancora i cavallini riusciranno a sopravvivere?
Francesca Volpi – Ukraine, today
Non si può parlare di questa mostra senza raccontare anche la storia di Francesca Volpi in Ucraina. Partita come tanti suoi colleghi per i movimenti di protesta a Kiev, Francesca si è rapidamente resa conto che limitarsi a piazza Maidan avrebbe significato riportare una narrazione troppo parziale di quel complesso fenomeno che, tuttora, sta accadendo in quella regione. D’altro canto il giudizio e la sentenza della comunità internazionale erano già stati espressi. C’era un cattivo, un popolo oppresso, troppa violenza. Eppure. Come spesso succede, la verità non è di così facile evidenza. Francesca in Ucraina ci è dunque rimasta tre mesi, cercando, spostandosi, tentando di capire un fenomeno più complesso di quello che si racconta in poche battute, in un minuto di telegiornale. Il racconto che ne ha riportato documenta senza giudicare, e le sue fotografie rimandano ai grandi maestri del passato pur avendo una tessitura, e una dolcezza, assolutamente personali.
Francesca ci ha rivelato, attraverso le sue immagini, il lato umano del conflitto ucraino. Mettendo al centro le persone a dispetto dei grandi eventi. Già passati nel dimenticatoio, peraltro.
David De La Cruz – Back in Berlin
Viaggiare, camminare e arrivare al punto dal quale eravamo partiti. Alla continua ricerca dell’identità dei luoghi negli edifici, nelle persone e nelle cose che si incontrano.
“Back in Berlin” è un insieme di tratti e ritratti urbani, con lo sfondo di una città tra le più famose e riconoscibili: grattacieli postmoderni, edifici socialisti, treni, parchi e personaggi sospesi nel tempo. E’ questa la chiave per raccontare la bellezza gelida di una Berlino sempre sospesa tra passato e futuro, che si evolve senza mai rimanere bloccata nel tempo.
Nel 2004 ho fatto il primo viaggio a Berlino, era il mio primo viaggio in aereo ed il primo fuori dal mio paese.
Da allora sono tornato in questa città ogni due anni.
L’ultima volta nel 2012, quando ho deciso di realizzare questo Diario.
Si può dire che con il mio primo viaggio nasce una storia d’amore “con Lei e per Lei”. Queste immagini, che raccontano di innumerevoli storie nella storia, mi permettono di parlare di Lei in modo più intimo, come se andassero a comporre un insieme di appunti di viaggio che narrano della mia esperienza in questa grande città tedesca.
Le ventitré fotografie selezionate per questa mostra sono immerse in una luce che ne rivela una patina di antichità, il formato quadrato riconduce tutto ad un equilibrio ed una eleganza che si manifestano nella nostra memoria con estrema raffinatezza suggerendo che il mio ritorno a Berlino è stato prima di tutto un ritorno alla bellezza.
Ivo Saglietti – I demoni
Srebrenica
Scientificamente, l’11 luglio 1995, le truppe del generale Ratko Mladic’ e i paramilitari di Arkan, sotto gli occhi inermi e complici del contingente olandese di pace, deportano e uccidono l’intera popolazione maschile dell’enclave musulmana di Srebrenica. Ottomila, tra uomini, ragazzi e bambini, vengono eliminati e buttati in una settantina di fosse comuni. La città rimane abitata solo da orfane e vedove dal foulard stretto attorno al capo. Negli anni dell’assedio bosniaco, Ivo Saglietti (Tolone 1948) documenta la guerra in presa diretta. Fotoreporter di agenzie francesi e americane, gira con gli stivali sporchi del fango dei luoghi più feroci e vulnerabili del pianeta: Salvador, Nicaragua, Cuba Libano, Haiti, Uganda, Uzbekistan, Palestina. Come in una missione è testimone della storia. “Se ci sono i fotografi una guerra diventa ‘reale’” scriveva Susan Sontag. Nella mostra, intitolata Demoni, che trabocca del dolore e dell’orrore del conflitto balcanico, sono impressi i resti e gli effetti del genocidio. Migliaia di bare tutte uguali in un grande capannone, contrassegnate solo da un numero, sono in attesa di sepoltura dopo sedici anni di ricerche. Dal 1996, l’International Commission of Missing Persons, (ICMP), organismo composto da patologi, genetisti, tecnici, medici legali di tutto il mondo, analizza e ricompone le ossa di chi ha perso, oltre alla vita, la propria identità. In una delle foto di Saglietti una luce illumina due donne chinate sulla bara di chi hanno amato. La desolazione asettica del luogo, nella alienante ripetitività della morte, crea un dolore ancora più acuto. Con intesa umanità, Saglietti accoglie nella sua pellicola la sofferenza del mondo dandogli asilo. E coglie la sospensione degli anni che una collettività buona sta trascorrendo nella certosina ricostruzione dei corpi al fine di restituire un nome a ciascuna vittima. Vincitore per la terza volta del World Press Photo, con gli scatti di Srebrenica, Saglietti dichiara: “Dare un nome alle vittime significa anche poterlo dare ai criminali”. Manuela Gandini
Andrea e Magda (vincitori di Foianofotografia 2013) – Palestinian Dream, miraggio di uno stato e globalizzazione sotto occupazione
L’ emergere del liberalismo economico in Palestina, favorito della comunità internazionale, sta trasformando drasticamente l’economia e la società locale. Nonostante la Palestina sia stata riconosciuta come membro osservatore dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, la nomina resta puramente simbolica,. Il paese non controlla nè i suoi confini nè le sue risorse, e rimane tutt’oggi sotto occupazione militare israeliana. L’ex premier Salam Fayyad (su raccomandazione del Fondo Monetario Internazionale, della Banca Mondiale, e dei finanziatori occidentali) ha incentivato un’economia fortemente liberale nella speranza che ciò portasse naturalmente alla nascita di un autentico stato. Questo atteggiamento economico ha incontrato un ampio consenso nell’élite benestante palestinese, oltre che nella comunità internazionale. La società e il paese stesso si stanno trasformando, e con loro le principali città: Ramallah, Betlemme, Nablus. Di giorno in giorno, nuovi centri commerciali, banche, compagnie assicurative, outlet, fast food e hotel di lusso vedono la luce. Mentre la classe media palestinese si immerge con entusiasmo nel consumismo di massa, l’economia reale dei territori resta una delle più dipendenti al mondo. Nel frattempo, la “pace economica” promossa da Israele porta come conseguenza ad un controllo totale da parte dello stato ebraico sullo sviluppo economico palestinese. “Palestinian Dream” mette in discussione il miraggio di questa nuova realtà.
Loris Savino – Betweenlands
Quando il popolo sceglierà la vita
il destino dovrà rispondere
la notte si rischiarerà
e si romperanno le catene
Abu El Qasim Chebbi (Tozeur, Tunisia, 1933)
Enfin Libre si vede scritto su un muro di Tunisi. Forse il processo verso una vera democrazia sarà lungo e irto di difficoltà, ma di certo “la primavera araba” può essere considerata fin d’ora un grande movimento di protesta etica e politica in nome della libertà. La rivolta si è propagata rapida e inarrestabile nei Paesi arabi per dire basta ad autocrati che imponevano il proprio potere con la forza: basta alla repressione, alle menzogne, all’autoritarismo, alla corruzione, alle ingiustizie. Spontanea e senza capi, la protesta araba ha fatto sentire la gente nuovamente unita, non più sottomessa a un potere sprezzante e arbitrario. Tutti hanno finalmente potuto sognare la libertà, gridare i loro bisogni, i loro sogni, rompere quel muro di silenzio che durava da decenni in Tunisia, in Egitto, in Siria, in Libia…
Per rendere conto di questo risveglio così potente, la ricerca di Loris Savino (che ha viaggiato a lungo tra Tunisia, Libia e Egitto, fino a Lampedusa) parte giustamente dalle manifestazioni che hanno segnato l’inizio della rivolta. Scattate nel mezzo della folla, poi accostate le une alle altre senza distinzione tra un paese e l’altro, le sue immagini in bianco e nero raccontano innanzitutto il catartico bisogno collettivo di scendere in strada, per dar voce ai propri diritti, anzi per urlarli a squarciagola. Certo, l’iniziale euforia delle grandi adunate di piazza (nate dal passaparola tra bazar, moschee e social network come Facebook o Twitter) ha poi lasciato spesso il posto a gravi conflitti armati, a repressioni in molti casi durissime e sanguinose, anch’esse testimoniate da Savini nella seconda parte della sua ricerca.
Ma per apprezzare il senso di questo particolare lavoro fotografico, occorre tenere presente che oggi molte immagini, fra le più autentiche, dirette e significative di simili eventi, arrivano già nelle redazioni dei giornali e alle televisioni tramite gli stessi manifestanti o combattenti. Al tempo stesso, per proporre ai lettori immagini capaci di imporsi visivamente, i media prediligono immagini sempre più teatrali ed emblematiche, volutamente drammatiche e dai forti contrasti di luce. Di fronte a queste tendenze – quella della fotografia “verità” scattata dal citizen photographer e quella “potente” del reporter professionista – Loris Savino trova una propria originale collocazione scegliendo, per le sue immagini a colori, la via consapevole e ragionata di una sorta di anti-reportage: lui infatti non insegue a tutti i costi gli eventi, non drammatizza volutamente le sue immagini usando toni cupi di colore e contrasti di luce turbolenti, con tutto il loro potenziale di seduzione. Se mai si avvicina alla fotografia documentaria. Una fotografia liberata dall’espressionismo personale e dall’ansia dell’attimo saliente, che indaga con voluta semplicità e chiarezza la realtà, per raccontarla e tentare di capirla. Ecco perché le sue immagini non ci mostrano tanto i ribelli in azione, ma soprattutto i segni lasciati dal loro intervento: il bunker di Gheddafi a Bengasi, finalmente conquistato e già in stato di rovina; un “glorioso” monumento libico trivellato dai colpi; i resti delle barricate in una strada del Cairo…
In effetti la guerra è fatta non solo di momenti altamente drammatici nella loro immediatezza, con sparatorie, urla e caduti, ma anche di un dopo: un tempo susseguente dove ciò che rimane è uno stato sospeso di incertezza, dolore e paura; oppure un senso di morte e inquietudine che aleggia stagnante nei luoghi, nelle strade, nei volti della gente. La guerra, poi, è anche fuga dalla guerra stessa: come le migliaia e migliaia di libici fuggiti in Tunisia, le cui tendopoli immense ma ordinate, ci vengono ugualmente mostrate nelle immagini di Savino. E guerra sono anche i profughi arrivati fra gli stenti a Lampedusa, con il loro carico di speranze e di ricordi. E dietro a loro ecco il peso invisibile di tutti quelli che non ce l’hanno fatta, che sono scomparsi tragicamente per via, e che nessuna fotografia ci farà mai vedere. Ne possiamo però a volte avvertire la muta, dolorosa presenza, quando la fotografia – come nel lavoro di Savino – sa farsi attenzione e interrogazione, e non solo inseguimento dell’evento o drammatizzazione. (Gigliola Foschi)
Francesco Fossa – Libya, the Captain and me (Sulle tracce del Paziente Inglese)
Il deserto annulla gli spazi. Così accade che due visioni, lontane nel carattere e distanti nel tempo, possano convivere e correre parallele come nel lavoro fotografico a quattro mani “Libya, the Captain and me (Sulle tracce del Paziente Inglese)”. Le immagini scattate tra il 1933 e il 1935 da un giovane ufficiale degli Alpini nell’oasi di Cufra e sui contrafforti dell’Auenàt – un triangolo conteso per ragioni strategiche da italiani e inglesi a cavallo di Libia, Egitto e Sudan – scatenano la curiosità del nipote: molti anni dopo prova ad andare in quei luoghi per capire di più del nonno che non ha mai conosciuto. Una tempesta di sabbia lo costringe a ripiegare verso ovest. E lui – Francesco Fossa – si tuffa in un’altra Libya, un altro deserto. L’Ubari e poi il Maridhet che si stende lungo il confine algerino. Su, fino a Gadames ( la città dei Tuareg ) e le rovine della romana Sabrata.
Tornerà a casa con una sua visione di quei luoghi, fatta di architetture storiche e naturali. Saranno due studiosi esperti di esplorazioni nel deserto – Alessandro Menardi Noguera e Michele Soffiantini – a ridare slancio a questo progetto. Un lavoro di ricerca che sovrappone un aspetto intimo a quello storiografico. Le foto del Tenente Manfredo Tarabini Castellani, le riflessioni private con le quali commentava i suoi scatti, i documenti riservati, i rapporti di servizio preparati per i superiori, tutto questo materiale recentemente ritrovato ha un valore storico enorme. Il giovane Tenente ebbe frequenti contatti con i militari inglesi nei tre anni trascorsi nel deserto libico, tra Cufra e l’avamposto di Auenat. Di lui parla nei suoi diari di viaggio anche l’esploratore ungherese Laszlo Almàzy (più conosciuto come il Paziente Inglese) che l’ufficiale italiano incontrò in almeno due occasioni. Manfredo Tarabini Castellani divenne esperto nella guida fuoristrada e condusse il professor Umberto Mònterin, responsabile della Spedizione della Reale Società Geografica nel Deserto Libico. Divenne in questo modo il primo italiano a penetrare in Wadi Abd el Malik all’interno del plateau del Gilf Kebir, la valle che Almásy identificò con la perduta oasi di Zerzura. Tra il 1933 e il 1934 fu parte attiva nel braccio di ferro tra Italia e Inghilterra per la delimitazione dei confini tra della Libia e Sudan Anglo Egiziano. Il suo nome ritorna frequentemente negli archivi inglesi e nei rapporti segreti del generale Graziani, vice-governatore della Libia: la sua è una storia intrisa di spionaggio militare, scoperte archeologiche, gesti cavallereschi e momenti di intimità familiare che consentono di dare luce a una figura morta troppo presto, in combattimento sui monti d’Albania nel 1940 con i gradi da Capitano.
Ora nonno e nipote sono molto più vicini di un tempo. Con le loro visioni fotografiche, diverse ma parallele.
Foto di Francesco Fossa e Manfredo Tarabini Castellani
Gianmaria De Gasperis e Gaetano Crupi – Contatti, provini d’autore (Autori vari)
La scelta della foto migliore attraverso l’uso del provino a contatto. Un viaggio attraverso la “grande” fotografia del XX secolo, in compagnia degli stessi autori. La mostra fotografica Contatti. Provini d’autore è un insolito viaggio attraverso le immagini che hanno “de-scritto” la storia, gli avvenimenti e i personaggi del Novecento. Una serie di grandi autori, protagonisti della fotografia internazionale, svelano i retroscena delle proprie immagini, mostrandone i provini a contatto da cui sono state scelte. Grazie a un atto di “generosità” dei fotografi, per la prima volta è concesso allo spettatore il privilegio di guardare ciò che gli stessi autori hanno scoperto nel momento di verificare il risultato dei loro scatti e, allo stesso tempo, di ripercorrere il processo creativo che porta alla nascita e all’individuazione de “La Foto”. Sono i fotografi stessi, attraverso le proprie parole, a guidare il pubblico in questo percorso di scoperta, raccontando il perché di uno scatto, l’intuizione giornalistica da cui scaturisce, le condizioni spesso difficili di lavoro e, infine, l’istante cruciale della scelta dell’immagine che diventerà simbolo e icona di un personaggio o di un avvenimento. In un momento in cui l’uso del digitale ha completamente stravolto il metodo di lavoro dei fotografi, Contatti. Provini d’autore documenta e testimonia una pratica totalmente diversa di pensare e di lavorare con la fotografia: quando i provini permettevano di rintracciare, a distanza di tempo, la memoria visiva di un avvenimento, un’atmosfera, uno stato d’animo particolare. La mostra è tratta dai libri Contatti. Provini d’autore – Vol. I (Postcart 2012) e Contatti. Provini d’autore – Vol. II (Postcart 2013), a cura di Giammaria De Gasperis.
Andrea Petrosino – Loro
Questo è il mio omaggio a Mario, Michele e Yonuts.
Loro rappresentano solo una parte di quella umanità che tanti tra noi ignorano o evitano per strada.
Loro vivono in uno spiazzo in zona Verano, a Roma.
Mario è un uomo anziano, ex saldatore, gentile ma molto riservato e solitario. Da sette anni vive in auto e il suo letto è un sedile.
Michele e Yonuts condividono una piccola roulotte priva d’impianto elettrico concessagli dalla Comunità Sant’Egidio.
Michele, che per anni ha vissuto senza una dimora, ama definirsi un’ex rivoluzionario che ha trovato Gesù.
Yonuts è un giovane rumeno che ha perso casa e lavoro un paio di anni fa, ma che ancora non ha perso la speranza di rifarsi una vita.
In Mario, Michele e Yonuts, ho visto la loro e la mia solitudine, ho assaporato l’amaro del buio e la dolcezza della luce, anche quando quest’ultima sembrava fioca. Ed ho avuto conferma che la dignità non è qualcosa che si perde se non si ha una casa, o perché la vita ti ha bastonato lasciandoti solo.
Ferdinando Rollando – Questa mostra è un casino. D’altronde, anche Nando era un casino…
Ferdinando Rollando è stato un architetto, un fotografo, una guida alpina tra le più esperte. Ma anche un operaio e un agricoltore.
Nel 2010 ha fondato Alpistan, ONG con sede a Kabul, per insegnare ai giovani che vivono sulle montagne afghane a spostarsi con gli sci anziché con interminabili viaggi a piedi. Inoltre ha iniziato un importante lavoro di mappatura del rischio valanghe in territori, per la maggior parte, ancora in mano alle forze talebane.
Nella notte del 9 luglio Nando e il suo giovane cliente Jassim lasciano il rifugio Gonella per scalare il Monte Bianco; vengono seguiti dalla base fino a quando spariscono tra le nuvole. Nando e Jassim non sono mai ritornati e tutt’ora risultano dispersi, nascosti o “protetti” dalla montagna che Nando conosceva come il giardino di casa sua a Ollomont, ai piedi del Gran San Bernardo.
La fotografia di Nando è impegnata e impegnativa: Rolleiflex, Hasselblad, Linhof. Ha lasciato migliaia di negativi in medio formato e molte decine di scatole di splendide stampe vintage. Qui vi proponiamo una breve selezione da un reportage realizzato nello Yemen nel 1989, quando Nando aveva 27 anni, che mostra luoghi che, probabilmente, non esistono più. Le immagini sono senza didascalie perché tre Cina, Yemen, Afghanistan, tra le sue fughe in montagna e le corse per il mondo, per incontrare Ernesto e Virginia, i figli che amava, “c’era sempre tempo per mettere in ordine l’archivio”…
Questa mostra vuole essere l’omaggio che Foiano Fotografia rende ad un sensibile e talentuoso fotografo prematuramente scomparso.
Per chi scrive, è il saluto ad un amico il cui ricordo non svanirà mai.
Maurizio Garofalo
FFOFF014
Francesca Bellino – “Chamaleons” a cura di Roberta Fuorvia
Parla di colori, persone e città. In una metropoli in continuo movimento dove un numero infinito di razze convive tra le innumerevoli sfumature di tinte dei palazzi, l’uomo riesce perfettamente a mimetizzarsi come fosse un camaleonte in perfetta sintonia con ciò che lo circonda. La complessità del tutto rende questa città una scatola perfetta” Chameleons fa parte del progetto New York Photo Stories, nato per i giovani autori della fotografia italiana. Le esperienze che gli autori hanno vissuto nella Grande Mela saranno il contenuto dal quale partire per cercare delle connessioni con una delle realtà artistiche più vibranti del globo.
Il focus di NYPS sarà la sottile linea che accomuna la fotografia al cinema d’autore.
Donatella Pollini – “Maliba – Il grande Mali” a cura di Eva Zamboni
Lo sguardo, il mio sguardo, è quanto cerco continuamente di pulire dai pregiudizi, negativi o positivi che siano, rispetto alle realtà che incontro.
Un’operazione che ritengo ancora più necessaria quando si guarda all’Africa, nei cui confronti il nostro sguardo è come velato, quasi costretto a selezionare gli aspetti più drammatici o quelli semplicemente folkloristici. Al grande Mali, ricchissimo di storia, di cultura e di civiltà, e alle sue genti è dedicata questa esposizione. Da tutto il mondo vengono in Mali per imparare la musica e la danza, le medicine tradizionali, per studiare le diverse culture, come quella Dogon, o per visitare la mitica Toumbouctou, ultimamente martoriata da conflitti che paiono insanabili. Dal Mali provengono studiosi importanti, musicisti, registi, fotografi e anche qualche calciatore…
Il paesaggio è sempre magico: le dune del deserto, le falesie della regione Dogon, il percorso lungo le rive del fiume Niger e la vegetazione nella zona meridionale; un’ importante risorsa del paese è (era) il turismo.
Il Mali è una miniera di risorse e di cultura. Lo sanno coloro che non si preoccupano di quanto siano drammatiche le conseguenze dei loro accaparramenti di risorse non importa dove e a spese di quante vite, nel pianeta.
Daniele Cametti Aspri – “Verde Contemporaneo”
Verde Contemporaneo è una nuova tonalità di verde comunemente abbinata con il “Grigio Cemento” o il “Grigio Asfalto” nella giustificazione paesaggistica ed ambientalista dello sviluppo della nuova urbanizzazione ad alta densità e dei mega centri commerciali ecofriendly. Solitamente è usato con parsimonia attraverso spennellate di alberelli di piccolo fusto di giovane età confinati in aiuole asfittiche che sicuramente ne fungeranno anche da tomba in breve tempo. Parimenti, il verde contemporaneo è presente anche nei rendering dei progetti urbanistici di studi di architettura blasonati e spesso viene usato con successo come alibi ad opere di cementificazione massiccia. La realtà è spesso diversa dalla fantasia degli architetti. Nel percorrere le strade delle nuove periferie della periferia la nostra percezione visiva è stimolata da immagini inconsuete. Contrasti evidenti di spazi verdi costretti dal cemento in zone al limite della città ma circondate dalla campagna. Un contrasto che appare ancora più evidente vista l’ampiezza dell’orizzonte. Un connubio di colori inatteso per una società che dovrebbe tendere alla vivibilità ed a sistemi urbani eco-compatibili. Ma a tutto esiste una spiegazione.
Il “Verde contemporaneo” è infatti il frutto di un paradosso nell’attuale regolamentazione per l’affidamento di appalti di urbanizzazione ed il loro rapporto con la realizzazione di servizi pubblici affidatigli dalle amministrazioni comunali.
A fronte delle concessioni edilizie di grandi insediamenti urbani, spesso collegati con centri commerciali, le amministrazione affidano ai costruttori la realizzazione delle strutture di servizio pubblico: rete idrica, strade, parcheggi e aree di verde pubblico. Queste opere vengono realizzate dal costruttore al posto del pagamento di oneri edilizi all’amministrazione e rappresentano un’ulteriore occasione per incrementare il margine di profitto a discapito della qualità di vita.
Da qui la definizione “Opere di urbanizzazione a scomputo” e la nascita del “Verde conteporaneo” che si erge a simbolo dell’ennesima attività lucrativa a scapito del benessere della comunità.
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