CONCERTO IN BRONZO
Musica su sculture di Gino Bogoni
Sabato 15 Settembre ore 20.45
Porto San Pancrazio – Località Lazzaretto
Verona
Proseguono gli appuntamenti dell’iniziativa FAI L’ESTATE AL LAZZARETTO che tanto seguito ha raccolto nei mesi scorsi, con Concerto in Bronzo, un progetto a cura di Patrizia Arduini Bogoni, che sabato 15 Settembre alle ore 20.45 vedrà, nella suggestiva cornice del Parco dell’Adige, all’interno del cinquecentesco Lazzaretto di origine Sanmicheliana, il percussionista Francesco Sguazzabia - nome d’arte “Sbibu” - interpretare e far risuonare le sculture bronzee di Gino Bogoni, in una performance visiva e sonora che impegnerà anche la coreografa Maria Giuliana Gardoni, Zeno Fatti alla tromba, David Cremoni alla chitarra, Luca Donini al sax e l’attore Massimo Totola, nel raccontare al pubblico la vita e le opere dello scultore veronese Gino Bogoni.
“Tutto prende forma appena trovo equilibrio, e l’invenzione nasce dal susseguirsi del chiaroscuro delle forme plasmate dal mio pollice. E’ solo un ritmo scandito in armonia, come note musicali…” così si esprime Gino Bogoni nel 1972 mentre sta lavorando a Lotus, la scultura con cui l’anno successivo vincerà il Primo Premio al IX Concorso Internazionale del Bronzetto di Padova, un’opera che, come racconta Patrizia Arduini Bogoni “..mio suocero aveva creato affinché venisse suonata, ma inizialmente non trovò nessuno che si prestasse. Negli anni, diversi percussionisti si affacciarono, ma non osarono avventurarsi….fino all’incontro con Sbibu, che accettò di suonare con le sole mani, nude e disarmate, Lotus”.
Dalla sintonia e dalla creatività dei due artisti nasce questo spettacolo, che vedrà protagoniste anche altre sculture di Bogoni, quali Figura di Donna (1974-78), Sviluppo Tridimensionale (1966), Forma viva (1962).
Sbibu è l’anima gemella di Bogoni, ama queste sculture come il suo artefice, le accarezza, seduce e se ne lascia sedurre; parla loro e le fa parlare. Ne risultano suoni dolci e cristallini, melodie ancestrali, che corroborate dall’intervento complessivo dell’ensamble e della voce narrante, racconteranno, con un’operazione articolata e originale, la storia di vita e di arte del grande Maestro.
GINO BOGONI (1921-1990). "Ricomincerei daccapo se lo potessi, con la stessa passione, la stessa caparbia volontà della mia preistoria di scultore. Non può esserci riposo per un artista, mai, fino alla fine".
Gino Bogoni è uno degli artisti più complessi e completi del panorama contemporaneo nazionale e internazionale. Le sue opere - presenti in collezioni pubbliche e private in Italia e all'estero- sono così definite dal noto scultore Marcello Mascherini: “… non si lasciano scoprire immediatamente, ma vanno a lungo guardate e meditate: solo allora, possono comunicare che la loro carica vitale è suggerita sempre dalla natura con i suoi elementi più semplici.”
Bogoni, che viene da una famiglia molto povera, si è fatto con le sue mani, nel vero senso della parola, perché proprio guardando le sue mani lavorare con la materia e nella materia, si poteva capire che questo stupendo, fecondo, battagliero ed originale scultore era nato artista.
Cominciò quando aveva ancora i calzoni corti scolpendo pietre e sassi con ferri rudimentali, poi, dopo gli studi all'Accademia Cignaroli, l'esperienza tragica della guerra sul fronte russo, il campo contumaciale e un lungo periodo di prostrazione e di crisi psicologica-creativa, la corsa sicura e risoluta verso l'affermazione, dapprima in campo regionale, poi nazionale ed infine internazionale.
Nella sua opera c'è la sincerità, densa e sofferta, che l'arte raggiunge nelle sue espressioni più alte, c'è l'umiltà di un lavoro che con la forza delle mani e del cuore arriva a mutare in spiritualità ogni frammento di materia. Istinto e tensione alla ricerca, lo accompagnano per tutta la vita e la sua ultima opera, "Frutto Oggetto Scultura" che fa bella mostra di sè in Piazza San Nicolò, è stata donata alla città di Verona, a testimoniare il profondo legame che unisce questo artista alla sua città. Ma Gino Bogoni è soprattutto cittadino del mondo, perché - come scrive Francesco Butturini - ”…nelle sue fusioni, avverti l’apparire, anzi, l’affiorare di un battito universale, che supera ogni barriera, per divenire ed essere…”.
FAI L’ESTATE AL LAZZARETTO è un’iniziativa voluta dalla Delegazione veronese del FAI - Fondo Ambiente Italiano Nazionale, in collaborazione con diverse associazioni locali e nazionali presenti sul territorio - Amici della Bicicletta, Pro Loco Lazzaretto, Comitato FIASP di Verona, Legambiente Volontariato Verona, Patrizia Arduini Bogoni, WWF Verona, Italia Nostra, Associazione Carnevale Porto S. Pancrazio, Gruppo Alpini Borgo S. Pancrazio; gode del Patrocinio del Comune di Verona - Assessorato all’Ambiente ed è tesa a tutelare, valorizzare e riqualificare questa area del Parco dell’Adige che, sotto il profilo storico artistico e ambientale, è stato oggetto del protocollo d’intesa sottoscritto lo scorso Aprile dal Comune di Verona e dal FAI nazionale, che si impegnerà nel restauro e valorizzazione del complesso monumentale del Lazzaretto.
IL LAZZARETTO DI VERONA
Terzo in ordine di tempo dopo il Lazzaretto di Venezia del 1423 e quello della Milano sforzesca del 1488, il grande complesso veronese, di cui nel 1547 il Consiglio cittadino aveva approvato il progetto, ebbe una storia molto travagliata, che lo porterà a compimento soltanto nel 1628, in tempo appena utile a offrire alla città il suo fondamentale servizio durante la terribile peste del 1630. Il linguaggio e lo stile che contrassegnano quest’opera tanto importante e tanto bisognosa di cure, rimandano in modo inequivocabile al Sanmicheli (1484–1559). A cominciare dall’aspetto di fortezza assunto dal complesso sormontato da merlature e vigilato da quattro torri angolari, che ricordano da vicino le costruzioni militari di cui egli era grande maestro.
Come ancora si può constatare, il luogo scelto per la sua realizzazione non poteva essere più felice: un’ansa dell’Adige nei pressi del borgo di San Pancrazio, dove il fiume, che ormai aveva superata la città, la poteva ben preservare da ogni possibile contagio; l’adiacenza con la sua sponda; la via d’acqua che ne facilitava enormemente l’accesso, la quota relativamente bassa del terreno che, di tanto in tanto, le esondazioni del fiume potevano completamente “ripulire”.
Dal punto di vista planimetrico il Lazzaretto si configurava come un enorme complesso rettangolare, al cui centro è ancora presente un delizioso tempietto circolare. I quattro lati del rettangolo si configuravano come un loggiato a un piano a guisa di gigantesco chiostro formato da cinquantuno archi sui lati più lunghi e da ventiquattro su quelli più brevi, su cui si aprivano centocinquantadue celle, ciascuna delle quali dotata di servizio igienico, di un camino per il riscaldamento e, tramite un corridoio coperto lungo l’intero complesso, resa facilmente accessibile dai medici e dagli addetti ai servizi. Rivelando in tal modo un criterio di igiene e di cura assolutamente all’avanguardia.
Anche se nemmeno per il tempietto si abbia alcun documento atto a provarne il progetto Sanmicheliano, gli elementi di cui esso si costituisce ne contraddistinguono tuttavia, e con evidenza, il linguaggio. E’ costituito da due colonnati concentrici, l’interno dei quali sorregge un tamburo cilindrico un tempo sormontato da una cupola, una lanterna e, in fine, dalla statua di San Rocco (il santo protettore dei malati di peste), mentre quello esterno regge , ancora oggi, un tetto spiovente le cui falde si raccordano al tamburo centrale. Entrambi i colonnati sono composti da otto colonne ciascuno, intervallate da quattro pilastri a sezione quadrata in cui andavano a infilarsi i muri di barriera che dividevano il complesso ospedaliero in quattro invalicabili settori di analoghe dimensioni che, rispettivamente, erano riservati a uomini, donne, ammalati gravi, convalescenti: perché, grazie alla solerzia delle cure, al Lazzaretto, si poteva anche guarire!
Anche la complessa e rigorosa struttura del tempietto presuppone un’intelligenza creativa che rimanda direttamente al grande architetto veronese che, grazie a un approfondito studio dell’architettura vitruviana, era perfettamente all’altezza di concepire una simile opera. La forma monoptera a tholos del tempietto è infatti in grado, coi due anelli di colonne perfettamente in asse, di sostenerne il tetto, di ricavare una congrua copertura all’altare e, soprattutto, di assicurare a ciascun malato, nonostante la presenza drastica e imponente dei muri divisori che proprio lì vanno a concludersi, la completa visibilità del luogo sacro e, pertanto, la sua partecipazione al rito religioso da cui ricevere conforto: assolvendo così, attraverso la qualità dell’architettura, al ruolo fondamentale a cui l’opera era preposta; e mostrando altresì che le nozioni di “radiazione” e di “trasparenza” tanto evidenti nell’architettura sanmicheliana, anche nel Lazzaretto veronese risultano presenti.
Utilizzato come deposito di munizioni da parte dell’esercito tedesco, al momento della ritirata di quest’ultimo, il Lazzaretto venne letteralmente preso d’assalto dall’affamata popolazione del borgo di San Pancrazio che, per appropriarsi di preziosi bozzoli di ottone, ne sparse incautamente le polveri dando luogo a una terribile deflagrazione. Numerosi furono i morti, l’intera struttura sanitaria venne distrutta e, nonostante i danni subiti, soltanto il tempietto centrale resse comunque l’urto. Da allora numerosi furono gli interventi di restauro a cui il monumento venne meritoriamente sottoposto, mentre nessuno di essi riguardò le celle perimetrali, le cui murature in rovina che ancora possono celare bossoli inesplosi, attendono da anni la necessaria bonifica.
Grazie alla convenzione recentemente stipulata con il Comune di Verona, sarà ora il Fondo dell’Ambiente Italiano ad assumersi l’impegno di gestire e di valorizzare questo bene tanto prezioso quanto dimenticato. A partire da alcune prime azioni, quali la messa in sicurezza del sito attraverso la sua integrale bonifica e l’installazione di telecamere; una passerella sull’Adige che ne rompa l’isolamento collegandolo con l’opposta riva del fiume e con il vivace centro culturale di Villa Bernini Buri; il restauro del tempietto e, grazie ai precisi disegni ottocenteschi in nostro possesso, la possibile ricostruzione di alcuni elementi della struttura sanitaria perimetrale ( alcune cellette potrebbero dare l’idea del suo funzionamento e l’astanteria garantire uno spazio coperto per future attività); grazie alla storia e alla naturalità del luogo, l’avvio di molteplici e diversificate iniziative culturali improntate alla salute, che potranno spaziare dalle passeggiate all’aria aperta o dalle informazioni di carattere alimentare, a veri e propri corsi di prevenzione o di recupero, e altro ancora.
PROSSIMI APPUNTAMENTI di FAI L’ESTATE AL LAZZARETTO
SABATO 22 SETTEMBRE, ore 15.30
Bird watching al Parco dell’Adige
Organizzazione: WWF Verona, con l’ornitologo Riccardo Bombieri
Ritrovo al Lazzaretto
SABATO 29 SETTEMBRE, ore 15.30
Porto S. Pancrazio: storia, architettura e urbanistica di un borgo
Organizzazione: Italia Nostra.
Ritrovo presso la Chiesa Parrocchiale di Borgo S. Pancrazio
Passeggiata didattica nel quartiere con visita esterna all’antica Chiesa di S. Pancrazio, Corte Dogana e Lazzaretto.
Per informazioni FAI L’ESTATE AL LAZZARETTO:
DELEGAZIONE FAI VERONA
via A. Sciesa 11 (c/o Agenzia Viaggi IOT)
lunedì-giovedì ore 10,00-12,30
tel. 045 597 981, delegazionefai.verona@fondoambiente.it
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