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Dicembre 2024
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Numero Evento: 21152191
Eventi Mostre
Galleria Verticalista
Movimento Verticalismo, Estetica Per Una Vera Bellezza (la Via Del Possibile)
Date:
Dal: 13/08/2016
Al: 13/09/2016
Dove:
Logo Comune
Via Suor Maria Mazzarello,12
Sicilia - Italia
Contatti
Cell.: 3494639821
Fonte
Salvatore Commercio
Evento Passato! Per aggiornamenti: segnalazione@eventiesagre.it
Scheda Evento

Galleria Verticalista

Movimento Verticalismo, Estetica Per Una Vera Bellezza (la Via Del Possibile)

Da Sabato 13 Agosto a Martedì 13 Settembre 2016 - dalle ore 10:00
Galleria Verticalista - Via Suor Maria Mazzarello,12 - Catania (CT)

Galleria Verticalista - Catania

Galleria Verticalista - A Catania in via S. M. Mazzarello 12, “Movimento Verticalismo, estetica per una vera bellezza (la Via del Possibile)”.

Espongono: Rosario Calì, Dietrich Fricker, Giovanni Compagnino, Lengyel Andras, Iolanda Taccini, Robert Swierkiewicz, Rosario Platania, Guglielmo Pepe, Salvatore Spatola, Klaus Groh, Rosa Buccheri, Daniel Daligand, Salvatore Commercio.
Dal 13 agosto al 13 settembre.

Movimento Verticalismo, estetica per una vera bellezza
(la Via del Possibile)

di Domenico Cara

Tra i problemi che assillano la mente (e l’esistenza) di Sylvia Plath, la verticalità diventa un fervoroso dilemma “nel modo più perfetto” e insieme la fascinazione di un’audacia tutt’altro che priva di manifestazioni naturali e di impliciti rischi. La poetessa americana si interroga assiduamente in un momento cruciale della sua estesa crisi e la vicenda spesso si fa esemplare in ogni recita del proprio spettacolo (interiormente dolorante, e in altra forza).

(…) Della medesima visione sono intrisi i sottovoce personali e quelli collettivi che da ormai diversi decenni hanno invaso le ragioni comunicazionali di un gruppo di artisti siciliani, catanesi riuniti da Salvatore Commercio in un unicum autonomo, libero, non irreale, né colto da allucinazioni prospettiche o da visionarismi provinciali o da necessità rivoluzionarie ad ogni costo (che diventano infine cieche al primo impulso negativo, se non proprio del tutto marginali).

Così “la via del possibile”, a cui si affida la riflessione, è diventata anima e clima di un Verticalismo, consegnato alla storia della loro biografia culturale e rifugio (o spinta) per la loro stessa ricerca estetica, e precisamente adottata per il piano creativo febbrile, al principio o alla fine di un progetto la cui attività è esemplare proprio perché rettifica eventuali complessità problematiche, propositi di poetiche intimidite dagli avversi tempi, in simultanea convergenza con ogni genere di gusto erudito, di ambientazione scientifica, di ostentazione democratica fine a se stessa, o di invenzioni che intendono il divenire progress e opere soltanto facciata e sovrabbondante per retorica impropria. La cosa in lotta in ogni caso accelera il messaggio non soltanto occidentale, così come il grado del paesaggio che tende al suo sviluppo verticale. I giardini del “possibile” non possono essere luoghi sterili e nudi, polverosi e labili, tra massicci accumuli di cocci o frammenti di tutti gli altri guasti emozionali, costruttivi, o cosmi disfatti in cui i resti trasmettono fasi remoti di terribilità, di errori beffardi, di galassie spente e perdute, o altro magma della disfatta sensazionale, ma aree di preferenza del naturale, del meraviglioso e dell’esatto trasferimento della bellezza intese come ordine, luce, coscienza della migliore vita, posto (persino ingordo) della civiltà meno traumatica o terrifica insinuante. In essi infatti s’inalveano lampeggiamenti del Cosmo, eventi giganteschi e mai balbettati, discipline di azione artistica, il continuum che racconta comportamenti di attrazione. Opposti al panico di ciò che il tempo ha congelato o dimenticato anche come notizia di sfondo, dopo ogni caduta.

La rivoluzione da anni avviene per avvenimenti dosati, non clamorosi, diffusi su miglior senno, a distanza del negativo, riassumendo sistemi filosofici e morali in levità di pensiero, distanti dalle insidie del risaputo, senza esasperazioni espanse dalle misure dell’abnorme, e tanto meno sfidando per mugugni e ire le forze preesistenti, qualunque siano il raccordo e gli insiemi approssimativi .

La sua divulgazione non accetta deliri, né modelli alternativi alla logica dell’urto, e non grida slogan per rimuovere istanze improprie, ad effetto pubblico. L’immutabilità concede ancora sviluppi per il sapere e il godimento non algido. Nevrosi (intellettuali) e psicosi (indissolubili) non glorificano verità ineluttabili o estreme, ma smarriscono i buoni effetti d’un lavoro proficuo nel senso verticalistico e cioè evoluto, teorizzante “il possibile” senza rifiuto o dubbio concettuale. Senz’altro le stesse superfici hanno bisogno di alti magnetismi.

Nel medesimo dominio le espressioni si identificano per simboli, colori, parole, funzioni enunciative e sogni liberi, oggetti innumerevoli nella loro tersa quiddità numerale, il readymade paradigmatico così come la Cosa che è messa a nudo dal “campo di possibilità” a cui si affidano l’interpretazione dilatata o colta per via delle teorizzazioni, le alchimie di vario tipo e fede, le varie stasi a cui si agganciano il mondo del sapere, dell’estro, il manufatto e l’artefatto, la fabula gentile e il nome comunque disseminato o registrato dal vissuto, indubbiamente chiamato in causa da un’esperienza che tuttavia va resa concreta, anche soltanto riosservando un lago o iniziata con l’occhio educato a guardare il teso e fluente sciogliersi della lava accesa e veloce, magma, vapore e natura.

E’ un desiderio degli uomini quello di scoprire le complessità della vita che passa e di captare intanto i segni esili e maestosi, sospesi e funzionanti dinanzi all’essere che li ha posti al suo servizio civile, privilegiando le suggestioni a servire l’io di ognuno e di emanciparlo per la solidità della sua etica nuova.

(…) Questi valori sistematicamente coinvolti nel rimando a ciò che può essere (o diventare) il Verticalismo (che peraltro aumanta sempre di più il suo numero di adepti) all’origine ha fatto tesoro di ciò che ha detto per esso Antonio Corsaro, sacerdote-scrittore di Catania, professore universitario che del gruppo in causa è stato il primo istitutore, teorico cospicuo: …occorre premettere che esso è un metodo e che, come tale, si fonda su presupposti convenzionali… è il modo di concepire lo spazio… Cioè si va dalla rappresentazione della realtà smisurata delle vaste metropoli alla rappresentazione proiettiva e magica degli oggetti e soprattutto del corpo. E’ con il verticalismo che l’mmaginazione dello spazio si dovrebbe farla cambiare… “Una sensibile svolta dell’ arte può avere riscontro soltanto se si riesce a trovare una nuova concezione dello spazio medesimo”.

(…) Quando era in vita credevano in tanti alle sortite rivoluzionarie di Antonio Corsaro, e con loro diversi compagni del piccolo prete irregolare e indipendente, nato nel 1909 a Camporotondo Etneo e scomparso a 86 anni a Catania il 18 agosto 1995. Compagno di università di Carlo Bo (alla cattolica di Milano) che lo ha commemorato nel trigesimo sul “Corriere della sera”. Indizio pretestuale, misterioso, mai enfatizzato.

Ma questo non è un profilo dello studioso, bensì una citazione sporadica per esemplificare meglio il recupero di una questione tutt’altro che siciliana o una memoria coreografica, bensì una “possibile” definizione di europeicità del fermento che egli ha instaurato per la coesistenza peculiare del fenomeno a cui tanti giovani inizialmente si erano affidati per la loro creatività, ormai presente (dagli anni settanta) in avvenimenti molteplici, in pubblicazioni dovute a iniziative continue e decise di fare arte, di confermare il credito ottenuto e del tutto irrinunciabile in più strati, fra antiche penombre e lumi silenziosi, parole sottintese e cenni morbidi, lievi, decadenti, parziali, ordinari, camminando nella luce del giorno e dubitando della notte, quando il deserto probabilmente offusca le idee e i passi più devoti. Ma ciò che dorme prima o poi si sveglia, per intendere meglio la differenza progettando un’ideazione più attenta.

Ed ecco la dinamica di ciò che il Verticalismo ha condotto in più bisogni e sogni esemplari: il dolce parlare, le esposizioni in cui molte cose si decidono, il colore visto nel fiuto delle più attendibili discipline, oltre la teoria e i filosofemi scabri, le rivelazioni puntualmente codificate dalla fusione di spiriti ferventi, là dove aleggia la brezza e l’onda sconfina arcana tra guizzi salini, crescita di movimenti, sorprese di idillio con la quotidianità difficile, e l’innervatura temperata ad un entusiasmo senza amene simulazioni o sfoghi.

Il movimento verticalista è indubbiamente una lingua non perversa, anzi docile nel coacervo dei mutamenti; legge l’essenza della nostra vita, la sua “conversione” alle novità, attraversa le deviazioni, i rituali, le rivisitazioni, il senso del fare e dell’amare.

(…) Dalle ceneri comuni il Verticalismo è sfuggito agli atteggiamenti farisaici e colto la civiltà programmata come obiettivo agli esiti del “possibile” raffigurato come costruzione fondamentale al vivere disinvolto, felice di dire le passioni, con un passato che diventa presente, memoria di qualcosa di imprescindibile, cruciale e “verticale” fenomeno nella biologia del presente millennio.

Su questa base si fabbricano il divenire del proprio credo, il centro dell’architettura contemporanea, l’Orto botanico delle crescite vegetali, il degno complesso di cause che portano alla “via del Possibile”, torrenziale se non progetto assoluto del prestigio di domani davanti ai fatti, all’infinito che accoglie tantissimi poeti, filosofi, artisti, uomini problematici, presenze di saggezza, generazioni di idonei alla causa comune della bellezza e della spritualità. Mentre il pensiero non è il guscio passivo della lumaca pigra e vischiosa ma il luogo cavo da cui le intelligenze sono partite per realizzare i loro segreti in qualsiasi oasi dello spirito, o la doppia misura per conoscersi punto dopo punto, in ciò che si prolunga e potrebbe avere un destino come colonna vertebrale neo-moderna. La stessa posizione festeggia la prospettiva rispetto alle vecchie ricette moderate e riduttive. L’energia si riproduce nel suo coraggio, l’eretico non soffre dell’altrui uso di derive non vitali, incontra il mondo che ha conquistato dagli stimoli diventati abili pretesti di temperamento del pensiero e del fare senza tregua, più per certezza conflittuale che per riappropriarsi del troppo non avuto mai e mai.

Nelle tracce del “possibile” gli abissi si sono ridotti notevolmente. La porzione diventa corretta parte del tutto, senza paventare un divenire tragico di cui potremmo essere ospiti o sorpresi da raccapriccio. Con il Verticalismo si spengono le estasi di ogni avanguardia perché tanti interrogativi sono stati risolti dallo spirito di elevazione che caratterizza ogni impiego della propria intelligenza, in sintonia con il ricominciare daccapo e senza ansia di soccombere o di affrontare prove indiscrete di contingenze del pensiero. I segnali sono diffusi in ogni verità, non appaiono incolmabili perché ogni istanza accontenta la vita che pratica un’intrepida trascendenza, in grado di definire la medesima tutela, apponendo la sua firma persino nei più segreti risvolti del suo pubblico zelo.

L’albo di questa disseminazione di questioni incombenti, è aperto al concorso di tutte le filosofie; la fantasia augura all’occhio il versante più in là, e la razionalità medesima vive come in un sogno gotico e surreale, fissato per la partecipazione assoluta e assidua delle escursioni “possibili” nell’Ovunque, e a pieno.

Purezza, innocenza, non sono formule pretestuali per l’uso e la fortuna della raffigurazione, dell’ottimismo implicito, ma momenti di una chiarificazione con cui la persona si accosta al dialogo con gli altri, non arida formula delle mutazioni e tanto meno manifestazioni del Caos o del volgare in arte.

Una promozionalità che in questi anni (e in questo senso dialettico) Salvatore Commercio, nume entusiastico e fondamentale, ha portato in alto, determinando una rottura di schemi antiquati ma cancellando il ristagno che si assiepa in ogni conflitto datato o accarezzato da usura convenzionale, e in ogni caso gualcibile.

Quanti diluvi sono necessari affinché l’arte e il pensiero (verticalistici) conquistano le loro utopie, gli equilibri di onestà e di sincerità conseguenti alle aspirazioni proprie della loro identità? Il punto di esperienza riversa su di essi sempre più esplicite e autografe verifiche, documenta tecniche e relazioni percettive dosate, forme e fotogrammi carezzati da linguaggi dirompenti, ricerche elettive, racconti ed astrazioni pretestuali, descriptio, forza d’amore, innovazione e profondità a cui la consapevolezza catanese non è mai venuta meno, compresa l’uscita dalle convenzioni minori, dalle insidie ideative, dal commento esemplare, dalle formule cromatiche e tecniche espunte dal medesimo patrimonio culturale della loro epoca: cinema, teatro, letteratura, arte del segno, scienza, altre inquadrature.

(…) Ecco, “il Verticalismo” è questa pratica della nozione elgante e disuniforme della realtà, ripetibile come la vita e interagente in stati molteplici di essa, ma densa di interrogativi sulla pagina a cui si è espresso il progetto rettilineo o asimmetrico, grumoso o diffuso in cifra stilistica provocatoria, intuitiva, pathos più che automatico (e legittimo).

L’opera deve essere sociale e integrativa alle effusioni ottiche dello sguardo; deve indicare il nodo che si scioglie anche quando tutto si capovolge della stessa, che campeggia nel vuoto e occupa uno spazio psicoterapeutico, una lezione di curiosità, i paradossi addolciti o mimetizzati dalla differenza del già visto.

(…) Le esibizioni scommettono su una lettura a pubblico unico, qualunque sia il continente di provenienza, ma deve anche spostarsi nell’Ovunque per narrarsi come un “giallo” i cui l’idea di indagine deve essere esplorazione comune, plurale, sempre.

Il fenomeno lieto diventa così proposta duttile, in uno stato eterno di lettura pubblica, spesso rimasta oscura, mentre adesso va adibita all’interesse di tutti, in erranza non museale chiusa, riordinata per l’uso generale, la disponibilità di coloro i quali si affidano a un turismo intellettuale anziché a quello sesso-gastronomico o di pura divagazione: donchisciottesca, per memorie libresche, per stasi di passività, per immediatezze di suoni aspri e scene spensierate!

Dall’insicurezza dei vecchi schemi del “vedere”, si passa a un fervore non tradito da cui si registra l’essenza (e la presenza) di una verticalissimaverità.

Domenico Cara

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    Data ultimo aggiornamento pagina 2016-08-11 15:47:20
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