Domenica 24 Luglio 2016 alle ore 21.30 al Margaret Cafè, in Via V. Madonia 93 a Terrasini (PA), sarà inaugurata la personale di pittura di Sergio Tripodi intitolata “Ed infine non”, promossa dall’Associazione Asadin con la collaborazione di Evelin Costa. Testi di presentazione a cura di Evelin Costa, Alessandra Naso e Antonio Valenti. La mostra sarà visitabile presso la sala espositiva del Margaret Cafè fino al 13/08/2016 tutti i giorni dalle 9.00 alle 23.00.
Sergio Tripodi è nato a Sant'Agata di Militello (ME) il 19 dicembre del 1967, si è diplomato all’Accademia delle Belle Arti “Leonardo da Vinci" di Capo d’Orlando (ME). Affronta da anni il tema della complessità. Ha partecipato ad innumerevoli mostre collettive ed estemporanee. Tra le più importanti: la personale a Sant'Agata al Circolo Dante Alighieri, una personale a Milano, sui Navigli; l'ultima ad Acquedolci, "Ad Alba", nel 2011.
Note di presentazione:
C’è una visione che ricorre o quanto meno si insinua nella mente dello spettatore che osserva la mostra di Sergio Tripodi intitolata “Ed infine non”, quel balcone aperto, una finestra che offre una luce, un chiaro di luna o un buio che penetrano in una stanza mai vuota. C’è una ringhiera che separa l’interno dall’esterno, metafora forse di mondi lontani e paralleli che si incontrano o si sfiorano come a rincorrersi “ed infine non” si incontrano mai. C’è un pittore dal cuore infranto e cicatrizzato che dipinge il sole, il mare ed un volo di gabbiani, ma la sua mente è altrove, tra voli di fenicotteri, osservazioni, tra tentazioni, effluvi di vino, figure strane, surreali, inumane che confondono la mente. Mondi reali e irreali che deliranti si intrecciano tra loro.
E poi una donna eterea e danzante, che non si accontenta di essere musa. Vera o inventata, protagonista di sentimenti reali o forse lievi e ondivaghe proiezioni del sé. Struggenti e sinuose melodie accompagnano i suoi movimenti lascivi lasciando un dubbio riguardo la sua vera identità, la sua essenza ed esistenza. E’ forse solo una distrazione per il pittore immerso nella sua fervida operosità? E’ una concreta protagonista della sua arte e vita? E’ solo un’eterea, se pur carnale, trasfigurazione priva di sguardo? E’ un trasparente ologramma? E’ vera carne e pelle che pulsa scuotendo il cuore ed il desiderio di tutti gli interpreti di questa storia? E’ ontologica o autoreferenziale? Chi può saperlo, incuriosisce e scuote.
La donna imperfetta, asimmetrica, sinuosa e affusolata di Sergio Tripodi esprime tensione sensuale, erotismo, si muove tra forme altrettanto flessuose, morbide, inserendosi tra esse come in un puzzle fatto di onde e voluttà. Onde creano le tende, onde le ombre, onde le lune, onde le giare, onde i seni, onde i fianchi, tutto è un volteggiare tra sensi e pulsioni, in uno spirito che si fa carne, sfiora la pelle e fluttua nell’ambiente.
L’umanità priva di forme ben definite che traspare da queste opere e che pervade forse l’immaginazione dell’artista è indefinita e mutevole, fallace, contraddittoria, incostante, caotica infine.
C’è una incessante analisi ed autoanalisi, una scansione del proprio mondo, soprattutto quello interiore. C’è una ricerca costante di sé, la paura di accontentarsi che si trasforma in rottura degli equilibri. La ricerca estetica della perfezione che diventa voluta imperfezione o viceversa, c’è un vortice del tutto che non è mai nulla. E c’è una certa ironia, voluta o involontaria, forse donata dalle immagini plastiche ed elastiche che fanno supporre che in fondo quello narrato non è altro che un mondo tangibile, ma anche cerebrale, ludico, surreale, fatto di forme colorate che ci mostrano come tra tormenti e autoanalisi, impulsi creativi, eros e deliri, la vita sia anche un gioco ambiguo e a più parti, da affrontare sempre con un po’ di leggerezza.
Evelin Costa
Nel tentativo di applicare la teoria della complessità al momento pittorico, il maestro Sergio Tripodi raggiunge una meta significativa nella sua produzione: la tela e la creazione artistica diventano un "sistema aperto". Gli elementi che compongono l'opera interagiscono tra loro; ogni elemento dipende da altri elementi così da rendere quasi impossibile definire un punto fisso da cui partire tale, da non prevederne il comportamento futuro.
Alla percezione dell'osservatore si impone la categoria fisica della realtà.
Tuttavia nell'opera dell'artista si assiste alla proliferazione del reale in sfere di realtà differenti e tale proliferazione è frutto di modelli ideali applicati a fenomeni perciò modellabili.
Alessandra Naso
Ritenta il Maestro, attraverso il suo derelitto ritrattista, un’industria tra le più audaci e vane: transustanziare il profumo della Vergine. Ma dica, Maestro, cosicché io possa goderne e dilettarmene, ora che l’olio è disseccato e l’opera sospesa, che ne è di quell’effluvio di beatitudine? Qualcuno vuole rispondere al suo posto? Forse il negletto acefalo del dipinto? Perciò alza il braccino terragno, come lo scolaretto in querimonia di supplichevole “posso andare al gabinetto”? Se lo sclerotico occhio rosso può trarre in inganno, l’altro, sgranato e latteo, suggerisce la verità: non di urgenza orinatoria si trattava, ma di necessità di prender tempo. Perché lui neppure conosce la riposta.
Vi è più che nel bel mentre quegli, gibboso e procombente, si dà all’arte e all’amore carogneschi, Ella Vergine aromatica che fa? Forse si gratta la testa nell’ardimento di compartecipativo e filantropico pensiero? Eppure lo sguardo è vacuo, diretto altrove, non assiste né interviene. Oppure se la liscia, quella testa platinata di madonna, in esperimento di vanagloriosa posa? O ancora, addirittura, con l’altra manochèla tradisce il colpevole dei mali del mondo? No, Maestro, non credo faccia alcunché. Come non ritenere che abbia soltanto sognato, quel tapino d’un pittorucolo ricurvo, col suo cuore terricolo e la duale faccia, che lei per davvero fosse odorosa, che ci fosse per davvero e, di quell’esserci, tutta infine odorasse? Certo, di una fragranza segreta, una privata invenzione, di necessità. La sua mano d’olio non la dipinge infatti, se non in via incidentale, a smarginarne una chioma in alieno lontanissimo oriente.
Il balcone è opinabile pretesto. La sedia, forse, è esistita. E la tenda. Ma il resto, dal vello pubico vaporoso e profumante, le sospese tette, i piedini sulle punte senza dita e senza unghie come se servisse a fissarla meglio al suolo (ma non si fissa quella, né vola, né è): tutto questo non è vero, ma quadro, dipinto, liturgia dell’inanità.
Per essere ancora più sicuro, ho stampato l’immagine del dipinto, mi sono recato nel più vicino presbiterio, ho bussato, sono entrato, ho percorso la navata laterale, l’ho mostrata ad una Vergine e Le ho chiesto: «secondo Voi, che c’è dietro a quel balcone?» Lei guarda attentamente il foglio, lo rigira tra le illibate mani, ne scruta il retro bianco e con un sorriso compassionevole mi risponde: «niente».
Non ho dubbi. Dipingere la Vergine. Dipingere un profumo. Masturbarsi finché si vuole. E, finché si vuole, profumarne.
Antonio Valenti
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