DAVIDE FRISONI - URBAN LANDSCAPE
a cura della critica d'arte Roberta Tosi
29 ottobre - 27 novembre 2016
#villamussolini
via Lungomare della Libertà #Riccione
vi aspetto tutti all'inaugurazione
SABATO 29 ottobre dalle ore 17,30
aperta dal giovedì alla domenica
dalle ore 16,00 alle 19,00
(altri giorni e orari solo su appuntamento)
info:
Davide Frisoni 3393237273
Comune di Riccione Istituzione per la Cultura
0541 608321-238
Davide Frisoni: Urban Landscape
di Roberta Tosi
C'è una vena inesauribile di luce e sangue, nell'arte di Davide Frisoni, di carne e materia, che si amalgama sulla superficie e ne rinasce redenta. Una sorgente che impasta la sua natura di terra e acqua, di fango e cielo, di oscurità e chiarità, che scatena una forza espressiva maturata da una grande passione e abilità artistiche e da un'attenzione minuziosa al reale e alla quotidianità.
L'incontro tra pulsione e bellezza, che non dimentica il dolore, il grido, prende forma allora tra le dita dell'artista, si plasma seguendo quella visione interiore a contatto diretto con la realtà della figurazione. Non cede il passo a vagheggiamenti od estetismi ma trova la terra, sfida l'intuizione e gli equilibri, ha una consapevole adesione al contemporaneo ma esige il sapiente lavoro degli antichi.
L'arte infatti da sempre racchiude l'insopprimibile necessità dell'uomo di rivolgersi al tutto e al particolare, allo sguardo e allo spirito, mescolandolo alla materia da plasmare e sfiorando così l'abisso dell'esistenza e il mistero che vi è racchiuso. La ricerca del gesto infinito che ripercorre la stupore ancestrale del nostro essere e del nostro esserci, in un reciproco donare e avere, fertile e creativo diviene così un cammino esclusivo e privilegiato, una strada a cui dare una forma molteplice e differenziata, soprattutto inarrestabile.
Ma nell'opera di Davide Frisoni la strada non è semplicemente un mezzo per un fine espressivo, essa è eletta per incarnare il proprio gesto artistico e portarlo ad una tensione creativa che travalica la mera visione e la conduce ad una riflessione costante sulla propria identità; una riflessione inscindibile nella sua stessa essenza, raccolta strato dopo strato nei sobborghi di una strada riminese, oppure in un notturno di Istanbul.
E' così che l'arte di Frisoni traduce il suo sguardo errante in spatolate dense, vibranti, concrete, per dirla con Courbet, che guardano alla realtà e ne lacerano il velo opaco della consuetudine. La sua visione artistica giunge ad indagare la prospettiva del reale decifrandone i segni abbandonati, le tracce inquiete e sfuggenti, quelle inafferabili e silenziose, e come frammenti intessuti da un racconto invisibile, Frisoni ne cattura l'energia inespressa e li riconduce ad uno stato primigenio in grado di com-muovere, di muovere con, l'opera e ad essa fare ritorno.
Vi è un movimento appunto, un principio in atto, in ogni realizzazione dell'artista riminese, che sottende alla rappresentazione e giace in ascolto del mondo, cogliendone il battito, quel brivido pulsante da imprimere sulla superficie, soggiogandola in un corpo a corpo che libera l'emozione e la spinge ad andare oltre se stessa. L'occhio allora agisce là dove lo spirito preme, alla ricerca insaziabile di nuovi equilibri, trasformandosi in quel principio della necessità interiore, come affermava Kandinsky, che conduce l'essere umano fin sulla soglia della propria anima.
Ecco allora che si scopre la ferita, che da quel movimento o perfino prima di esso, ne sugella l'opera. Una ferita impastata di bellezza, di fatica e sacrificio, che racconta di un lavoro devoto, quasi orante, in cui l'artista è condotto ad affrontare la sua sfida, la sua personalissima visione che nella forma, a tratti informe, trasfigura il vissuto e rimette l'essere umano in cammino. Per questo la visione di Frisoni non è mai paga, non è mai sazia e ci permette di percorrere il suo stesso sguardo che spinge ad andare oltre l'apparenza per immergerci nella gestualità pura ed essenziale della nascita dell'opera, cogliendone tutte le sfumature, i cromatismi inebrianti, la materia palpabile e rugosa.
La luce e l'atmosfera, paradigmi ineludibili nella rappresentazione, trovano così sostanza in ogni frammento depositato sulla superficie e diventano, improvvisamente, uno sguardo acceso da mille domande che, nel fermo immagine dell'opera, che statica non è, scopre la sua messa in scena del mondo e cosa manca ad esso, come direbbe Merleau-Ponty, per divenire quadro. Ecco che i suoi Urban Landscape, i suoi paesaggi, le vedute urbane, impetuose testimonianze di una capacità creativa istintiva e riflessiva, non potevano non attraversare tagli di vedute vertiginose, visioni aree, fotogrammi di un'umanità sospesa, in bilico tra l'essere e lo svanire come fragili comparse della propria esistenza. E poi le strade, il baluginare dei lampioni sulla pavimentazione bagnata, il brivido della velocità inarrestabile e i volti, di chi quelle stesse strade le racchiude impresse nei propri occhi, scavate nella propria pelle. Il suo narrare artistico diventa allora una tavolozza raggiungibile con colori essenziali, che si richiamano, si ritrovano, si riconoscono, suggellandone la finissima trama che li ricongiunge e infine li libera. Oppure li contrappone, in quel dualismo così reale e profondo che alla luce oppone il buio, al chiarore, l'oscurità.
Ma non basta la forza della rappresentazione del soggetto, l'impulso cromatico, calibrato e contrapposto ad una forza dinamica e sapiente, per un artista in divenire, come Frisoni, il flusso scorre e nuovi scenari aprono a differenti dimensioni, ad una sperimentazione indomita ed emozionale.
Così, abbandonati per un qualche momento spatole e colori, la sfida si ripropone per l'artista in uno spazio costretto ed infinito, modificabile e liquido, dove la traccia viene annullata eppure resta, dove l'abilità tecnica non può prescindere dalla capacità artistica ma ad essa fortemente si riappella per non trattenere nulla dell'istintività gestuale. E' stata questa spinta a portare Davide Frisoni ad approdare al digitale, riconducendo l'arte ad una dimensione intima, accessibile anche a chi vi è estraneo. In questa nuova personale ricerca, l'artista ci educa, proprio nel senso di condurci fuori, per sfidarci nel luogo in cui ciascuno di noi, nel rischio abbagliante e concreto di un narcisismo esponenziale, sente il “potere” stretto tra le sue mani: quello con la propria tecnologia, costruita, secondo un slogan di qualche tempo fa, “tutto attorno a te”. E nel fare questo, al contempo, ci pro-voca, ci richiama, ci costringe ancora una volta a riflettere, come deve sempre fare l'arte quando non è mero compiacimento delle proprie abilità, su quelle domande naturali a cui l'essere umano, anche il nativo digitale, non è estraneo.
Un percorso imprevedibile, per l'artista riminese, che, nella sua inesausta riflessione, sospinge l'arte di continuo ad andare oltre, oltre se stessa, fin sul baratro di ciò che la definisce ancora una volta opera, ma che esprime l'intenso desiderio di una chiamata all'universale perchè, come affermava Henry Miller, “L’arte non insegna niente, tranne il senso della vita.”
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