Sabato 6 Gennaio ore 19:00
"NASCITA DI GESU' BAMBINO"
Sacra rappresentazione con Pupi Siciliani di stile catanese
presso
Piazza della Libertà - Gravina di Catania (accanto Chiesa Madre S. Antonio di Padova)
Evento organizzato e offerto dal Comune di Gravina di Catania
Sinossi
Nell’attesa dell’avvento del redentore del mondo, San Giuseppe – non ancora santo – tribola per la maternità di Maria. “Che è , si domanda il vecchio falegname, “questa gravidanza?” E prega, il pover’uomo, prega Dio che “dall’alto Empireo/disgombri i suoi sospetti”. E giù l’Angelo Guerriero che, se gli fa la scena dell’Annunciazione, gli complica le cose. D’accordo, la maternità di Maria è opera dello Spirito Santo, ma ora c’è il censimento decretato da Augusto e, rivolto a Maria, il vecchio esclama: “SE da te aspetto l’Uomo Dio,/come dir potrò che Dio è figlio mio?/Onde per non turbar l’onor che Dio s’aspetta/si lasci Nazaret e si parta in fretta”. E va via con Maria.
E’ la “peregrinatio” che attraverso un paesaggio agreste di contadini siciliani, la coppia divina compirà fino alla grotta di Betlemme. Ma giungervi non sarà facile. Il Maligno metterà in opera tutto il suo potere demoniaco per annientare la “coppia ria/Giuseppe e Maria”.
Fra gli attoniti pastori, egli, il Signore del Male, inventa un’ osteria con cibo avvelenato, un torrente in piena ed altri inganni, affinchè Maria non partorisca, chè, da colei “nascerà il disinganno delle speranze” sue. Le prova tutte lui, ma finisce per essere bastonato dall’ Angelo che brandisce una spada fiammeggiante.
S’era messo in testa di battere l’ Onnipotenza divina, ma ha fallito tutti i sortilegi ed infine si trasforma in serpente per fermare Maria davanti la fatidica grotta, ma quell’Angelo gli scompiglia le carte: l’agguato infernale diventa il quadro dell’immacolata Concezione.
Il Demonio è vinto per sempre ed i pastori sono invitati al presepe dalla Stella d’Oriente dove Gesù nasce fra il bue e l’asinello, i re magi e Peppininu che accoglie il bambinello con la voce ingenua dell’ eterna speranza dei poveri in un mondo migliore.
La Cantata dei Pastori: un percorso da Napoli a Catani
Andrea Perrucci (1651 – 1704), autore del trattato Dell’arte rappresentativa premeditata e all’improvviso,che è un’esauriente summa teatrale del secolo barocco, nel 1699 fa rappresentare a Napoli e pubblica, sotto lo pseudonimo di Casimiro Ruggieri Ugone, la Cantata dei Pastori, azione sacra – pastorale in versi .
Il dramma narra le peripezie capitate a S. Giuseppe ed alla Madonna durante il loro viaggio verso Betlemme, contrastato dalle potenze infernali che vogliono impedire la nascita del Verbo Incarnato, novello Lume che dissiperà le ombre. Al motivo del viaggio della “bella unione” si intrecciano i contrasti dell’Arcangelo Gabriele “paraninfo delle eterne nozze”, col titanico diavolo Belfegor. Il tutto si giustappone in una cornice bucolica di maniera, dove agiscono pastori, cacciatori e pescatori dai trasparenti nomi di Armenzio, Cidonio e Ruscellio. Infine, a dialogare con tutti, c’è il buffo napoletano Razzullo, con codino e tricorno, in marsina e “culottes”, scrivano capitato in Galilea per le operazioni del censimento. Egli, eternamente affamato, cambia sempre mestiere nella speranza di riempir la pancia, ma guadagna soltanto disgrazie e bastonate. Di animo semplice ma generoso, aiuta come può i due santi pellegrini e si rende degno di adorare il bambino.
La Cantata appare dunque come un tipico prodotto del teatro spagnoleggiante in voga in Italia, nel sec. XVII; in un caleidoscopio barocco di concettismi, metafore, antitesi ed ossimori, vengono mescolati elementi derivati dalle “comedias de santos” dall’egloga pastorale e dalla farsa napoletana.
Il dramma è stato rappresentato nei teatri popolari durante le feste natalizie innumerevoli volte fino ad epoca recente. Nata in ambiente colto e trovate poi le sue modalità di produzione e fruizione in un contesto popolare, La Cantata si affermò stabilmente nel repertorio dell’Opra catanese: i pupari la sera del 24 Dicembre interrompevano le puntate del ciclo e mettevano in scena il lavoro del Perrucci.
Nei teatri etnei il dramma fu sottoposto ad un ulteriore processo di rielaborazione. Fu dato rilievo maggiore alle scene dell’ angelo e del diavolo. Gabriele diventò, cavallerescamente, l’angelo armato Michele ed i contrasti diventarono reiterati duelli dove Belfegor veniva regolarmente vinto dal suo luminoso avversario che assumeva la posa plastica del S. Michele Arcangelo di Guido Reni: Se nel dramma originale del Perrucci queste due figure erano soltanto repliche teatrali di una convenzionale iconografia barocca, immagini dell’ eterno conflitto tra il Bene e il Male, nei teatri catanesi furono viste come equivalenti ai paladini cristiani rappresentanti del Bene e ai saraceni pagani rappresentanti del male. La seconda importante variante apportata dai pupari etnei fu la sostituzione di Razzullo con Peppininu, la Maschera tradizionale dell’Opra catanese. Peppininu, anch’egli in livrea settecentesca, mantiene inalterate tutte le potenzialità comiche di Razzullo, sostituendo il dialetto catanese al napoletano e mostrando più sottile e fine arguzia.
A far da spalla a Peppininu i pupari catanesi escogitarono le figure della bella contadina Rosetta e della brutta vecchia bisbetica e presuntuosa.
Parallelamente eliminarono dall’originale del Perrucci tutte le scene dei cacciatori e dei pescatori che si affiancavano ai pastori.
L’impianto barocco del dramma si prestava alla vocazione scenografica e scenotecnica dei pupari catanesi. Fedele a questa tradizione è l’allestimento curato dai Fratelli Napoli che, attraverso l’adattamento di Fiorenzo e Alessandro Napoli, riesce a restituire l’atmosfera particolare, mista di sereno stupore ed attonita felicità che si creava nei teatri di quartiere in occasione di quella serata. La scrittura spettacolare operata dai
Napoli si snoda lungo visioni da sogno e da incubo, soglie che schiudono i recessi infernali, mutazioni di luogo a scena aperta, torrenti che si gonfiano e si placano, paradisi che si aprono raggianti di gloria, comete trascorrenti in cielo, fino al quadro finale del Presepe.
Così, confermando ancora una volta che a teatro ciò che più conta rispetto alla scrittura drammaturgica è la transcodificazione spettacolare, i pupari catanesi rendono a modo loro omaggio al Bambin Gesù, sussurrandosi tra le quinte che per le loro non sarebbe Natale se non rappresentassero la Natività.
(Alessandro Napoli)
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