“Ce ne ricorderemo di questo pianeta” recita così l'epigrafe sulla tomba di Leonardo Sciascia.
Racalmutese, i cui dubbi s'imponevano, proprio come nei suoi libri, sulle certezze.
Ecco il motivo per cui “I mafiosi” di Sciascia – testo riadattato da “I mafiusi di la Vicaria” di G. Rizzotto del 1863 – apre le porte di questo spettacolo dopo oltre dieci anni di silenzio.
I miei dubbi come le mie certezze si sono insediate in me da tempo, guarnite da spiagge, omertà e cannoli ca ricotta.
Il bisogno di dare voce a favore e contro questa terra è diventato ormai incessante, dargli vita attraverso la forma teatrale, una necessità.
L'eleganza del pizzo racconta storie, sogni e realtà di sconosciuti, il cui respiro strozzato rivive in questo territorio isolato.
“Isola, isola bella, questa è un'isola tranquilla”, colma di idee in cui non crede. I personaggi in cerca di un'anima, nascono ossessioni di una mente settimina per diventare realtà di un ingenuo medio siciliano.
Zio Gioacchino, capo camorrista,
Padre di non luoghi e di famiglie allargate, coltivatore di affetti e negoziatore di vittorie, vive la realtà per sé stesso attraverso la capacità di sovrastare il prossimo, con grandezza inudibile, inenarrabile, invisibile, ma sempre presente.
I soldati, vittime carnefici, dentro tempi lunghi e distanti, legati fra loro dall'unico itinerario familiare conosciuto.
La strada battuta tra giochi d'infanzia e pistole giocattolo, raggiunta finalmente con sorrisi di morti e punciute da standing ovation.
Un prete e due femmine unite dallo stesso destino.
Fra passato e futuro - assenti nella visione originale del testo - il primo prende vita clericale autonomamente, dentro le mura e fuori dagli schemi a cui ritorna per il piacere delle finanze.
I due volti femminili, Vincenzina Marchese e Rita Atria: cuore e sangue.
Prototipi di siciliane modello riuscite male, donne che si rivelano tali per la straordinaria forza e per la sanguinosa passione che le accende.
Domenica, forse un soggiorno, passeggiate patronali al lunapark.Generati e generazioni insonni, irrorati da un cuore puerile cresciuto in fretta, le cui domande e risposte condannano il tempo.
“Essere siciliani vuol dire, tra l'altro, vivere nell'antica ed eterna contraddizione tra infelicità e speranza”.Ognuno di loro vive e muore nello stesso spazio, con eleganza.
VALENTINA SARDO
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