Salone Dei Cinquecento A Palazzo Vecchio
Marmi Antichi
Da Venerdì 01 Luglio a Domenica 02 Ottobre 2016 - dalle ore 09:00 alle ore 23:00
Museo Di Palazzo Vecchio - Piazza Signoria - Firenze (FI)
Le monumentali statue del I-II secolo d.C. raffiguranti Pothos, Hermes, Apollo e Bacco tornano visibili nel Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio dopo un intervento di restauro durato oltre un anno, diretto dal Servizio Musei della Direzione Cultura e Sport del Comune di Firenze, in collaborazione con la Soprintendenza Archeologia della Toscana, con la partecipazione di eminenti studiosi di arte e storia romana e con il contributo del Consolato Onorario del Principato di Monaco a Firenze ed ENIC Meetings & Events, di Guess Foundation e di Joris Cornelis.
Un allestimento temporaneo, curato dal medesimo ufficio della Direzione Cultura e Sport, in collaborazione con il Servizio Belle Arti e Fabbrica di Palazzo Vecchio, consente di ripercorrerne la storia, di apprezzare i risultati del restauro e le scoperte compiute in corso d’opera e di ammirarle da vicino e da ogni lato, prima che vengano ricollocate al loro posto, nelle quattro nicchie che si aprono a quasi tre metri di altezza nel prospetto meridionale del Salone dei Cinquecento.
Le quattro sculture provengono dalla celebre collezione di antichità che il cardinale Ferdinando de’ Medici, figlio di Cosimo I, raccolse nella sua villa romana sulla collina del Pincio, oggi sede dell’Accademia di Francia, prima che nel 1587 venisse chiamato a succedere al fratello Francesco come granduca di Firenze. Costituita da sculture e reperti lapidei provenienti prevalentemente dall’acquisto in blocco di importanti collezioni romane, la raccolta di marmi antichi di Ferdinando era una delle più ampie e ammirate dell’epoca.
Nella Villa Medici a Roma le quattro statue, già completate delle parti mancanti con frammenti antichi di diversa provenienza e integrazioni moderne in stile, erano collocate in nicchie nella galleria che il cardinale aveva fatto appositamente costruire per le sculture di maggiore pregio. Giunsero in Palazzo Vecchio, nelle nicchie della testata sud del Salone dei Cinquecento, tra il 1788 e il 1795, quando Pietro Leopoldo di Lorena - il cui casato aveva acquisito la proprietà del patrimonio mediceo per effetto della successione al Granducato di Toscana - fece trasferire in blocco a Firenze le circa quattrocento opere che ancora si conservavano nella villa romana, per poi distribuirle tra la Galleria degli Uffizi, la Loggia dei Lanzi, Palazzo Pitti, il giardino di Boboli e altre sedi granducali.
Da allora queste statue non erano mai state rimosse dai loro alloggiamenti nel prospetto del Salone dei Cinquecento, se non per essere messe in sicurezza in occasione di lavori di ristrutturazione dell’edificio ed emergenze belliche. Il retro e i fianchi delle sculture, finora negati alla vista del pubblico dalla collocazione entro nicchie, sia in Palazzo Vecchio che precedentemente nella Villa Medici a Roma, non erano mai stati esaminati e documentati. Offuscate dall’abbondanza e dalla prevalenza dei capolavori del Cinquecento che decorano le sale monumentali di Palazzo Vecchio, queste pregevoli testimonianze dell’arte romana di età imperiale e del collezionismo mediceo attendevano ancora di essere adeguatamente studiate e valorizzate.
Il recente restauro ha quindi riservato non poche sorprese, fin dal momento del trasferimento delle statue nel cantiere appositamente allestito nell’area degli scavi archeologici al piano seminterrato di Palazzo Vecchio. Qui i visitatori degli scavi del teatro romano hanno potuto seguire a distanza il lavoro dei restauratori e degli archeologi, storici, geologi e chimici che li hanno affiancati per restituire alle statue il giusto grado di leggibilità e stabilità, nonostante i diversi assemblaggi di marmi antichi e integrazioni moderne di cui si compongono. Il restauro è stato preceduto da una nutrita campagna di indagini diagnostiche, finalizzata anche a campionare il singolare repertorio di materiali incorrotti, non alterati da interventi recenti, che queste opere hanno rivelato.
L’esame ravvicinato delle sculture e gli studi compiuti in corso d’opera hanno permesso di rettificare precedenti interpretazioni e di scoprire aspetti del tutto sconosciuti della loro storia. Tra questi, per citare solo alcuni esempi, l’inedito frammento di iscrizione latina con dedica all’imperatore Decio che compare sul retro della lira di Apollo, realizzata nel Cinquecento rilavorando una lastra del III sec. d.C. solo sul lato visibile della scultura, oppure il sistema di canali scoperto all’interno del Bacco, dal quale è stato possibile desumere che la statua anticamente svolgeva la funzione di fontana.