Giuseppe Civello

Una Vita Per La Pittura

Da Sabato 18 Febbraio a Domenica 05 Marzo 2017 - dalle ore 17:00
Sala Conferenze, Ex Convitto Ragusa - Noto (SR)

GIUSEPPE CIVELLO Una vita per la Pittura 18 febbraio/05 marzo 2017 sala conferenze, ex Convitto Ragusa Aperitivo con l’Artista, sabato 18 febbraio alle ore 17.00

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La Città di Noto rende onore al pittore Giuseppe Civello organizzando una mostra antologica del Maestro che a Noto è stato un protagonista della cultura artistica del secondo Novecento e non solo nella sua città natale. La mostra, curata da Enzo Papa, verrà inaugurata dal Sindaco di Noto, Dott. Corrado Bonfanti, sabato 18 febbraio alle ore 17,00, nella Sala conferenze del Convitto Ragusa e resterà aperta fino al 5 marzo, ad ingresso libero. Con il contributo artistico di Studio Barnum contemporary. Orari di apertura: 10/13 -17/20 Catalogo in mostra

-------------------------------------------- Giuseppe Civello è nato il 3 settembre 1935 a Noto, dove vive. Ha studiato a Palermo, dove è stato allievo di Alfonso Amorelli, e a Siracusa, all’ Istituto Statale d’Arte sotto la guida di Ferruccio Ferri. La sua prima mostra personale risale al 1955. Da allora è stato sempre presente sulla scena artistica non solo con mostre personali, ma partecipando a rassegne regionali e nazionali, vincendo numerosi premi e riscuotendo sempre consensi di critica, di pubblico e prestigiosi riconoscimenti. Maestro del figurativo, ha spaziato in diversi campi dell’espressione artistica, dalla grafica, all’affresco, all’acquerello, alla litografia, non disdegnando incursioni nella pittura astratta. Della sua opera si sono occupati, tra gli altri, Gaetano Gangi, Benito Mincio, Enzo Papa, Vincenzo Marotta, Angelo Fortuna, Gianna Pagani Paolino, Enzo Leopardi, Paolo Greco, Italo Bonora, Renato Civello, Mario Valeriani, Paolo Bonaiuto e altri ancora. Interventi che lo riguardano sono apparsi su riviste, quotidiani e cataloghi, tra cui “Corriere della Sera”, “La Fiera Letteraria”, “La Sicilia”, “Il Tempo”, “Il Resto del Carlino” “Il Mattino”, “Eco d’Arte”, “Arte Italiana Contemporanea”, “Artisti Italiani contemporanei”, “L’Elite”. E’ membro della romana Accademia Tiberina. Molte opere della sua vastissima produzione si trovano in collezioni pubbliche e private.

GIUSEPPE CIVELLO Una vita per la pittura

Chi volesse volgere lo sguardo un po’ all’indietro e conoscere la condizione culturale di Noto nella recente e ancor vitale seconda metà del Novecento, capirebbe subito che vi fu una stagione felicissima che nulla aveva da invidiare ai grandi fermenti culturali netini registrati tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, quando veramente Noto poteva considerarsi una piccola capitale culturale, una saviniana Atene, fregiata di bel nome. Figure di primissimo piano che sarebbe lungo elencare, infatti, operavano allora in questo estremo lembo d’Italia e d’Europa, dove si conoscevano le lingue europee, anche le più sconosciute come il magiaro, lo svedese, il finlandese, e se ne traducevano opere, dove gli studi di demologia erano all’avanguardia e facevano testo, dove anche gli studi musicali svolgevano un ruolo non secondario, dove il Teatro Comunale ospitava opere liriche e i loro autori ma anche opere in prosa, conferenze, eventi che nulla avevano da invidiare alle attività culturali delle grandi città. Una nobile tradizione che è rimasta nell’aria, nell’atmosfera, nei gusti, nei pensieri e, oserei dire, nel DNA dei netini. Una sostanza dell’anima.

E’ chiaro che la seconda guerra mondiale, tutto sconvolgendo e creando negli animi una disperante cupezza da Dies irae, segnò, come ovunque, una sorta di cesura per cedere spazi ai problemi della sopravvivenza, ma già a partire dagli anni cinquanta e fino alle soglie del duemila la grande tradizione culturale si ravviva, sembra venir fuori come da una sorniona sonnolenza e nuove figure si propongono a riprendere e a continuare la grande tradizione. Il maestro scrittore Benito Mincio e il suo salotto letterario, l’umile e mite pasticciere Corrado Costanzo organizzatore di importanti concorsi estemporanei di pittura, i giovani del “Gruppodieci”, quasi tutti nati a ridosso della guerra e la loro ventata di novità alla ricerca di nuovi appetiti culturali, il giornalista-scrittore Corrado Sofia che col suo carisma riunisce attorno all’Associazione “Arte & Accademia” tanti giovani, la fondazione dell’ISVNA (Istituto per lo Studio e la Valorizzazione di Noto Antica) per merito di Francesco Balsamo e di Bruno Ragonese, quest’ultimo fondatore dell’ Ente Fauna Siciliana, il musicista Corrado Galzio fondatore dell’ “Associazione Amici della Musica”, con l’organizzazione di concerti di livello internazionale, lo scultore Giuseppe Pirrone e la fondazione della Galleria d’Arte Moderna, Gioacchino Santocono Russo direttore della Biblioteca Comunale e la fondazione del Museo archeologico, case editrici come la Jonica o la Sicula di Biagio Iacono con la sua rivista "Netum" e "La Gazzetta di Noto", e altri nomi ancora e altre associazioni e altre attività, non escluse quelle sicuramente incisive delle scuole, si potrebbero ancora citare dal copioso e interessante elenco. Ciò a dimostrazione di un’energia culturale non imbellettata, ma assai significativa e di tutto prim’ordine, sicuramente eccedente i ristretti limiti di un provincialismo da confraternita superficiale e spesso esangue, da sempre caratteristica di questo estremo angolo della Sicilia sud orientale e non solo di esso.

E’ questo, in estrema sintesi, il clima in cui ha operato fin dagli esordi il pittore Giuseppe Civello, nato e vissuto qui, a Noto, all’ombra del Barocco più splendido della Storia, la cui armonica imponenza e la seducente bellezza architettonica di chiese, palazzi e monasteri hanno avuto anch’esse la loro parte di influenza nella sua formazione, se è vero, com’è vero, che noi siamo anche un po’ il luogo dove siamo nati, il luogo che ci portiamo nell’animo e nella mente come una sorta di seconda pelle, come un marchio incancellabile o come una dote.

Di tutto questo si sostanzia l’opera pittorica di Civello, di questo artista di ottima scuola, allievo a Palermo di Alfonso Amorelli e a Siracusa di Ferruccio Ferri, di Maestri, cioè, che ai loro allievi hanno saputo imprimere non solo i giusti precetti dell’arte pittorica, ma, soprattutto, l’amore e la passione per un’attività delicata e impegnativa, destinata a sconfinare nella poesia. Sì, perché la vera pittura è l’espressione poetica del pittore. Nel corso degli anni Civello ha saputo orientare le sue naturali inclinazioni seguendo un percorso di forte coesione linguistica e di correttezza formale in cui l’intento espressivo ha saputo sempre coniugarsi con l’intento conoscitivo. Pittore di forte tempra, per questo, la cui produzione, fin dalle prime opere degli anni cinquanta, costruita su modulazioni cromatiche sapienti di sicuro effetto realistico ed espressivo, ha saputo imporsi all’attenzione di pubblico e di critica, accolta sempre favorevolmente, ma limitata, purtroppo, dalla marginalità e dalla lontananza dai grossi centri culturali e commerciali. E’ questo il prezzo che si paga per la colpa di essere nati, vissuti e radicati a sud del Sud.

Con tutto ciò Civello, pur consapevole di tutti i nuovi fermenti artistici venuti fuori a partire dal dopoguerra, di tutti gli “ismi” che si sono succeduti e accavallati l’uno sull’altro in tutto il corso del secondo Novecento, è riuscito, sempre, a rimanere fedele a se stesso, al suo modus pingendi, non lasciandosi mai irretire dal piffero di situazioni che non mescolassero veridicità di rappresentazione e invenzione artistica, come dire inaccettabili perché incoerenti con la sua identità, col suo mondo interiore. Max Weber affermava che l’arte, a differenza della scienza, non conosce evoluzione, ma cambiamento continuo, sia pure all’interno di una medesima tradizione di pensiero e di cultura. Ed è proprio all’interno della nostra tradizione che si svolge l’intero iter artistico di questo Maestro, pur progredendo incessantemente insieme all’eterno mutare del mistero, sempre nuovo e sempre uguale a se stesso, che si nasconde e resiste nel cuore dell’uomo.

La sua tela non è semplice tabula de lineis et figuris, ma diviene suggestivo spazio scenografico, felicità di canto, non solo per la rappresentazione di paesaggi o di nature morte, dov’è maestro insuperabile, quanto piuttosto per la narrazione di una condizione esistenziale, anche metaforizzata, anche poeticamente sentita e vissuta, dove la figura umana appare quasi sempre come evocazione della dura esperienza del vivere. Egli sa bene come dare dignità formale alle sue espressioni, ai suoi inquietanti fremiti interiori, alle sue poetiche intuizioni, e lo sa fare avendo imparato a padroneggiare felicemente una tecnica pittorica che va dall’olio all’acrilico, all’acquerello, alla litografia, perfino all’affresco, una tecnica che è e deve necessariamente essere alla base di tutto, com’è la parola per il narratore o per il poeta. Così la pittura di Civello si distingue per uno stile caratteristico in cui il senso plastico delle forme e l’energica definizione del segno si blandiscono a vicenda, creando scenari assai suggestivi. Egli è un colorista, anzi, come diceva Picasso, colorista e disegnatore in una sola mano, che sa modulare, come pochi, toni e luce, ombre e contrasti, chiari e scuri, sempre funzionali all’intento descrittivo e alla struttura formale, e sa far vibrare festosamente il cromatismo, sempre pulito, sempre iridescente, sapientemente ricercato, calcolato ed equilibrato, lontano da toni dolciastri e indulgenti. Insomma, la sua è la “buona pittura”, quella a cui oggi, dopo tante esperienze e sperimentazioni, si ritorna. Anche per lui, infine, si potrebbe usare la locuzione oraziana ut pictura poesis, come dire che ogni suo quadro è come una poesia.

Da alcun tempo Civello non dipinge più. Una lugubre ombra notturna gli è scesa come un sipario sugli occhi a privarlo della luce. E dove l’infame destino potrebbe colpire un pittore, se non alle mani e agli occhi? Renoir, il gran pittore, ròso dai reumatismi che gli storcevano le dita, si faceva legare i pennelli alle mani e continuava a dipingere; ma un pittore a cui è stata tolta la vista, che subisce l’arbitrio della sorte, un tradimento come fosse un inesorabile decreto, cos’altro potrebbe fare se non precipitare in una rassegnata tristezza e avvertire i morsi dell’inattività ? Della pittura il Maestro Civello ha fatto una ragione di vita e nei suoi lunghi anni di attività ha saputo offrirci una produzione armonica e felice, che in questa mostra si presenta in estrema sintesi, certificazione non solo del suo lungo itinerario spirituale e artistico, ma anche testimonianza del suo e nostro tempo. A lui, alla sua arte, va la gratitudine nostra e del gruppo sociale netino di cui egli è espressione, interprete e testimone.